BENI RECUPERATI DAL CRIMINE ORGANIZZATO: UN’OCCASIONE MANCATA PER RIPARARE E RICOSTRUIRE
- Sinodar

- 22 ago
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Il governo nazionale ha approvato, tramite il DNU 575/2025, un nuovo regime di conservazione, amministrazione e destinazione dei beni provenienti da attività illecite. La nuova normativa ignora l’obbligo dello Stato di risarcire le vittime dirette e indirette dei crimini e stabilisce invece una politica che valuta esclusivamente il valore economico dei beni recuperati come strategia di raccolta di risorse per lo Stato.
La confisca di beni derivanti da reati come la tratta di persone, il narcotraffico, il riciclaggio di denaro o la corruzione è uno strumento potente per indebolire economicamente le organizzazioni criminali, ma non per finanziare le carenze amministrative dello Stato. Il suo vero potenziale risiede nel riutilizzo di questi beni da parte dello Stato e delle organizzazioni sociali a beneficio delle persone e delle comunità più colpite, avviando così un processo di riparazione del danno e di ricostruzione del tessuto sociale aggredito. Quando le vittime non vengono considerate, l’iniziativa perde completamente la sua ragion d’essere.
Alcuni punti previsti da questo decreto sono di estrema gravità, poiché incidono sulla riparazione delle vittime e sulla possibilità di creare un sistema di amministrazione e riutilizzo efficace e trasparente:
L’approvazione di una riforma e l’abrogazione di numerose leggi penali mediante un DNU, soprattutto senza dimostrare la necessità e l’urgenza, è contraria a quanto stabilito dall’articolo 99, comma 3 della Costituzione Nazionale e dalla giurisprudenza della Corte Suprema. Ciò risulta ancora più grave se si considera che da oltre tre anni è pendente in Parlamento un disegno di legge volto a creare un sistema di amministrazione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati. Tale progetto è stato concordato tra quasi tutti i gruppi parlamentari (Unión por la Patria, La Libertad Avanza, PRO, UCR, Hacemos Coalición Federal e Innovación Federal), insieme a organizzazioni sociali e operatori giudiziari, e attende ancora di essere discusso nelle commissioni presiedute dallo stesso partito di governo.
Il nuovo regime riduce i beni al loro mero valore economico, ignorandone il potenziale riparatorio. Non dando priorità al riutilizzo sociale, si limita unicamente a prevedere la restituzione monetaria dei beni a favore di alcuni organismi statali, senza considerare le vittime che non fanno parte dei procedimenti giudiziari e sprecando una politica che permetterebbe allo Stato di destinarne l’uso a vari organismi e organizzazioni sociali, come centri di riabilitazione, club di quartiere e associazioni di promozione sociale, eludendo così la responsabilità della riparazione.
Il DNU non stabilisce meccanismi di trasparenza né di rendicontazione, aprendo la porta a decisioni discrezionali e a possibili atti di corruzione. Il regime non fissa criteri oggettivi per amministrare, custodire, alienare o concedere beni, né obbliga a rendere trasparenti le informazioni che consentirebbero il monitoraggio istituzionale e cittadino lungo tutto il processo. Numerosi sono stati i casi in cui beni sequestrati e confiscati sono stati gestiti arbitrariamente e con fini clientelari, generando costi enormi per lo Stato e per la società.
Duplica strutture istituzionali già esistenti, generando sovrapposizione di funzioni e perdite per lo Stato. Meno di un mese fa, la Corte Suprema ha aggiornato il proprio regime di amministrazione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati (Delibera 22/2025). Il nuovo sistema ripete gli stessi errori: manca un’autorità unica e vi sono ruoli sovrapposti, con conseguente aumento delle spese, riduzione dell’efficacia e impossibilità di costruire uno strumento adeguato.
Il riutilizzo sociale dei beni è una politica strategica per indebolire la criminalità organizzata, riparare le vittime e ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche. I paesi che l’hanno attuata seriamente sono riusciti a indebolire economicamente i gruppi criminali e a rafforzare la legittimità istituzionale e la vita democratica, destinando direttamente tali beni alle istituzioni e ai territori più colpiti. La lotta contro la criminalità organizzata non può essere ridotta a un meccanismo di raccolta fondi per lo Stato.
Con il progetto Bien Restituido lavoriamo da cinque anni con tutti i gruppi parlamentari, abbiamo intrattenuto dialoghi con diversi funzionari nazionali e provinciali e redatto congiuntamente un disegno di legge che resta bloccato in Parlamento. Facciamo appello affinché questa politica venga costruita in modo integrale, trasparente e partecipativo, con il coinvolgimento non solo di un potere dello Stato, ma anche delle comunità e delle organizzazioni che affrontano quotidianamente le conseguenze della criminalità organizzata nei territori più colpiti.

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